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Cibo e salute: il nutrizionista risponde | il Colesterolo

Il colesterolo è uno dei temi più discussi sul fronte alimentazione e salute. Qual è la differenza tra colesterolo buono e colesterolo cattivo? Quali alimenti possono contribuire a tenere bada il colesterolo cattivo? A queste e a tante altre domande risponde questo mese il dott. Gianluca Rizzo su "Cibo e salute: il nutrizionista risponde", rubrica dedicata ad alimentazione, alimenti e buone pratiche.

Vi ricordiamo che potete porre delle domande al dottore Rizzo, scrivendo dubbi, quesiti e curiosità nei commenti o via messaggio privato sulla nostra pagina Facebook Biolis – Alimenti Biologici, o anche via mail all’indirizzo infobiolismessina@gmail.com. Le domande verranno raccolte dal nostro staff e proposte al dott. Rizzo, che vi risponderà in maniera anonima sempre sulla rubrica.

Buona lettura!

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In Occidente i disturbi cardiocircolatori sono le patologie più comuni nella popolazione. Proprio per questo rappresentano ancora la principale causa di morte e contribuiscono in modo significativo alla spesa sanitaria. La loro ampia diffusione crea una percezione alterata della gravità dei segni clinici, portando frequentemente a pensare che, tutto sommato, in tanti soffrono di disturbi come ipertensione, ipercolesterolemia e ipertrigliceridemia. Le cause che partecipano all’insorgenza delle malattie cardiocircolatorie, e quindi anche ai relativi fattori di rischio, sono molteplici e coinvolgono aspetti non modificabili come predisposizione, età e genere, ma anche aspetti modificabili come eccesso ponderale e colesterolo alto. Chiaramente, lo stile di vita occidentale fatto di sedentarietà, eccesso di consumo carneo e di alimenti raffinati e molto concentrati contribuisce in modo rilevante al paradigma. Le patologie croniche, di cui ictus e cardiopatie fanno parte, sono definite tali a causa del loro meccanismo di insorgenza dipendente da determinanti che influiscono nel corso della vita. Questo significa che è un grosso errore pensare che in giovane età ci si possa permettere eccessi senza conseguenze, poiché comportamenti sregolati pongono le basi per le patologie che potranno insorgere in età adulta.

Il consiglio più semplice e paradossalmente più difficile da seguire è di mantenere uno stile di vita salutare ed evitare eccessi ricorrenti. Tuttavia, nel caso in cui i fattori di rischio siano già presenti, si è ancora in tempo per limitare l’insorgenza delle patologie.

Questa doverosa introduzione mette in luce come il nostro comportamento sia potenzialmente un rischio per la nostra salute, ma può essere anche uno stimolo migliorativo.

L’ipercolesterolemia rappresenta uno dei fattori di rischio che contribuisce all’insorgenza di disturbi cardiocircolatori. Il colesterolo è naturalmente presente negli alimenti carnei e nei derivati animali come uova e latticini e rappresenta una molecola indispensabile per la funzionalità delle membrane cellulari, per la sintesi di vitamine e ormoni e per la formazione dei sali biliari, indispensabili per la corretta digestione dei grassi. Tuttavia la nostra capacità di sintetizzarlo può essere alterata in eccesso a causa di predisposizione familiare e/o  comportamento alimentare.

In passato si dava molto peso al colesterolo alimentare mentre oggi si conosce bene l’influenza della sintesi endogena che, comunque, può essere ugualmente alterata in base agli alimenti che introduciamo. Quindi, mentre può essere utile limitare il colesterolo degli alimenti, che influisce solo per il 10-20% del colesterolo circolante nel sangue, è molto più efficace limitare l’assunzione di grassi saturi che ne stimolano la sintesi. Si presume che i grassi idrogenati, molecole che nel decennio scorso sono state ampiamente utilizzate per le loro caratteristiche tecno-alimentari (conservabilità, consistenza), influiscono gravemente sull’alterazione ematica del colesterolo.

Quale valore emato-chimico dobbiamo considerare nelle analisi? Il colesterolo totale è sicuramente un parametro utile, ma non riesce a discriminare tra le due principali componenti di cui è formato (HDL e LDL), a cui ci riferiamo rispettivamente come colesterolo “buono” e “cattivo”. Il primo svolge la funzione di trasporto delle molecole sintetizzate nei tessuti verso il fegato che potrà allontanarlo con la bile. Quello cattivo (LDL) svolge normalmente la distribuzione del colesterolo ai tessuti periferici ma, se in eccesso, può aumentare il rischio che questo si ossidi e si depositi al di sotto delle pareti delle arterie provocando la formazione delle placche aterogene. Queste, rappresentano un pericolo per la salute non solo per il relativo restringimento con conseguente rischio di ostruzione arteriosa, ma anche per il fatto che il colesterolo ossidato in tali distretti attiva un processo infiammatorio con il rischio di rilascio di trombi nel torrente circolatorio.

Gli alimenti possono agire a vari livelli per ridurre il colesterolo cattivo e il rischio a esso congiunto. Partendo quindi dal presupposto che la prevenzione è sempre il metodo più efficace, alcune sostanze degli alimenti possono facilitare la riduzione del colesterolo alimentare e di quello rilasciato dal fegato o favorire il trasporto inverso delle molecole in eccesso con conseguente allontanamento.

Più volte è stato dimostrato come l’olio extravergine di oliva sia utile per la riduzione del colesterolo cattivo e per l’aumento di quello buono. Tali proprietà dipendono dal contenuto di acido oleico, un grasso monoinsaturo, principale responsabile della riduzione del rischio cardiovascolare nelle popolazioni del Mediterraneo di mezzo secolo fa, quando ancora l’eccesso di offerta alimentare non era degno di nota. L’effetto benefico della dieta italiana in Campania suscitò l’interesse di un biologo americano (Ancel Keys), tanto da aver ispirato il modello che oggi chiamiamo mediterraneo e che lo convinse a trasferirsi nel Cilento. Ovviamente, l’olio deve essere integro e quindi il suo effetto è valido se non viene degradato con la cottura, cosa che ne vanificherebbe buona parte dell’efficacia.

Un meccanismo simile si può trovare con l’assunzione di acidi grassi polinsaturi che possono essere riscontrati principalmente negli oli vegetali e nella frutta secca. Negli anni Novanta l’olio di mais fu molto pubblicizzato per l’effetto benefico sul cuore, grazie all’acido linoleico contenuto. Tuttavia, rispetto al nostro amato extravergine, il mais e altri semi necessitano di processi di rettifica per poterne ottenere un olio commestibile e palatabile, cosa che influisce negativamente sulla qualità finale del prodotto.

I cibi con queste proprietà devono essere composti da almeno il 17% delle calorie apportate in grassi insaturi, cosa che potrebbe escludere un effetto rilevante di tanti cibi vegetali diversi dagli oli e dalla frutta secca, se non nel loro contributo sommatorio complessivo. Nel caso dell’acido alfa linolenico, un acido grasso omega 3 molto rappresentato nei semi di lino, nei semi di canapa e nelle noci, l’effetto benefico avviene per un consumo superiore a 2 grammi al giorno di alfa linolenico. Per ottenere lo stesso effetto con l’acido linoleico, presente nel mais e molto più comune negli oli vegetali, ne servono almeno 10 grammi al giorno. Apporti simili si possono ottenere solo in condizioni di pianificazioni alimentari ben organizzate.

La letteratura scientifica evidenzia che anche nel pesce grasso sono presenti acidi grassi polinsaturi che potrebbero ridurre l’incidenza delle malattie cardiovascolari, tuttavia non si può sottovalutare l’attuale presenza di contaminanti chimici che si accumulano proprio nei tessuti adiposi del pesce, che potrebbero vanificare le influenze benefiche dei polinsaturi. Inoltre, tra il sovra-sfruttamento dei mari e la scarsa qualità dei prodotti di acquacoltura non possiamo ignorarne i risvolti ambientali che ci riguardano più a lungo termine.

La riduzione dei grassi saturi può anch’essa essere efficiente nel controllo del colesterolo nel sangue. Tra gli alimenti ricchi di acidi grassi saturi abbiamo sia alimenti carnei ma anche alcuni oli vegetali spesso usati nell’industria alimentare. Non a caso, le raccomandazioni ufficiali consigliano di mantenere l’apporto di acidi grassi saturi al di sotto del 10% delle calorie giornaliere complessive.

Alcuni cereali contengono delle sostanze, chiamate beta-glucani, che possono aiutare il mantenimento di livelli normali di colesterolemia. Per avere questo effetto, è necessario che l’assunzione sia di 3 grammi al giorno e gli alimenti che ne sono più ricchi sono notoriamente l’orzo e l’avena, in particolare la parte della crusca, ma anche i funghi rappresentano una fonte estremamente ricca di questa classe di molecole. Un simile meccanismo è riconosciuto per un polisaccaride noto come glucomannano, estratto dalla radice di konjac, molto utilizzata in asia per la preparazione degli shirataki, spaghetti giapponesi pressoché acalorici che hanno avuto molto successo in Occidente per il loro utilizzo in alcuni approcci dietetici dimagranti. Per ottenere l’effetto sul colesterolo è necessario un apporto giornaliero di almeno 4 grammi di glucomannano.

La gomma di guar, ottenuta per macinazione del seme di una leguminosa tipica di India e Pakistan, ha la capacità di formare una sospensione colloidale che riduce l’assorbimento di grassi e colesterolo. Grazie a questa proprietà è utilizzata come addensante nelle preparazioni industriali, tuttavia il suo effetto avviene solo per assunzioni al di sopra dei 10 grammi giornalieri. L’abuso di tali sostanze può facilmente portare a disturbi gastro-intestinali.

Anche le pectine della frutta sono molto utili a ridurre l’assorbimento di colesterolo, se assunte giornalmente nella quantità di 6 grammi. Si tratta delle molecole responsabili dell’addensamento nelle confetture e delle marmellate, altamente rappresentate negli agrumi e nelle mele.

Di recente, è molto utilizzato il riso rosso fermentato sotto forma di integratore alimentare. Si tratta di un prodotto di fermentazione del riso per mezzo di un fungo unicellulare che porta alla formazione di sottoprodotti che agiscono metabolicamente sulla biosintesi del colesterolo. Come per le statine, non mancano comunque gli effetti collaterali legati a un blocco di una via metabolica utile anche alla sintesi di molecole fisiologicamente necessarie; inoltre, permane il rischio di danno tissutale a livello muscolare.

Gli steroli vegetali, tra cui quelli della soia, sono dei polifenoli che competono con l’assorbimento cellulare del colesterolo. Il loro effetto è ben documentato per apporti al di sopra dei 0,8 grammi al giorno ma, purtroppo, il loro effetto è strettamente limitato alla fase di assunzione, con il risultato che la sospensione dell’apporto di steroli porta al rapido annullamento dell’effetto ipocolesterolemizzante. Dalla soia può essere estratta anche la lecitina che agisce sul trasporto inverso del colesterolo, favorendone il rilascio nell’intestino con conseguente allontanamento.

Vari estratti vegetali con effetto a carico del metabolismo del colesterolo, inclusi alcuni di interesse fitoterapico sono acacia, acero, aglio orsino, cassia, patata americana, amaranto, fieno greco e aglio comune.

Si tratta solo di alcuni esempi ma è evidente come l’alimentazione in questi casi non possa essere ridotta alla semplice assunzione dell’alimento specifico, per quanto possa essere di supporto in condizioni subcliniche. In caso di valori al di sopra dei livelli di sicurezza, il trattamento farmacologico rimane irrinunciabile per ridurre la possibilità di esiti cardiovascolari molto gravi. Di recente, i livelli di sicurezza per il colesterolo LDL, in caso di assenza di altri fattori di rischio, sono stati fissati entro il range di 70-100 mg/dL, mentre in passato si consideravano sicuri entro 100-159 mg/dL. Un motivo in più per non sottovalutare le proprie abitudini alimentari.

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Gianluca Rizzo è biologo nutrizionista, docente in corsi di formazione ed ECM, e in diversi Master curati dall’Università di Messina, specializzato in alimentazione vegetariana e vegana e in integrazione alimentare. Potete conoscerlo meglio in questa intervista. Su Facebook lo trovate qui